Telelavoro, Italia fanalino di coda

Sono soltanto 800.000 le persone che oggi lavorano da casa online.

Crescita prevista entro il 2011 sarà del 7%


Cellulare e pc portatile. E il lavoro si può svolgere anche dal tavolo di casa (Ap)
Cellulare e pc portatile e il lavoro si può svolgere comodamente anche dal tavolo di casa o ovunque vi sia una connsione web
In Italia la diffusione del telelavoro è di gran lunga minore rispetto agli altri Paesi dell'Europa. Solo l'anno scorso l'Italia contava poco più di 800 mila telelavoratori, ovvero persone che svolgono, part-time o full-time, la loro attività lavorativa da casa online tramite internet o «da remoto», cioé in un luogo diverso dalla propria sede aziendale. Nel 2007 erano circa 700 mila, pari al 3% circa del numero totale di occupati. Un numero in costante crescita, si stima del 7% in più in media nel periodo 2007/2011, ma comunque di molto inferiore al resto dell'Europa. Sono d'esempio la Finlandia, l'Olanda e la Svezia dove più di un lavoratore su quattro è in remote working (27,6%) ovvero telelavora, nel Regno Unito, in Germania e in Danimarca quasi una persona su cinque (17,8%), mentre nei Paesi mediterranei (Francia, Spagna e Italia) il tasso di penetrazione medio nel 2007 era del 4,5%, un dato che anche se negativo, fa prevedere una forte espansione di questo settore, ovvero di questo nuovo modo di lavorare con strumenti che ormai tutti possiedono, pc e connessione.

L'Unione Europea favorisce molto questa modalità lavorativa e dal 2002 fa pressione sui Paesi membri affinché lo diffondano in maniera capillare. Nel giugno del 2004 in Italia è stato firmato un accordo interconfederale, siglato da Confindustria, sindacati compatti e altre 19 associazioni imprenditoriali, che dà la possibilità di lavorare da casa, con garantzie e tutele identiche a quelle dei colleghi in ufficio.
Perché il telelavoro da noi non decolla? Ancora una volta un esempio dell'immaturità dell'Italia, si potrebbe dire. A sostegno e in difesa va però considerato che il nostro modello economico non si presta bene al telelavoro, anche se questo vale solo per alcuni settori. «La nostra economia si basa molto sul manifatturiero e in questo tipo di industria la presenza fisica del lavoratore è ineliminabile, perché il lavoro è manuale — spiega Luca Solari, docente di Organizzazione aziendale e Sviluppo delle risorse umane all'Università Statale di Milano —. La nostra struttura produttiva è costituita soprattutto da Pmi, piccole e medie imprese, e di solito gli impiegati vivono vicino all'azienda». Ma i motivi del ritardo sono anche altri e chiamano in campo le resistenze culturali e il gap tecnologico ancora forte. «In generale — prosegue Solari — al datore di lavoro non piace il fatto che un suo dipendente non sia presente fisicamente perché non è possibile controllarlo, vedere che cosa sta facendo. In Italia siamo ancora ancorati al modello gerarchico burocratico, si tende a voler avere un controllo fisico della presenza del lavoratore e del tempo lavorato». In pratica, è opinione dominante che il lavoratore, se sta al suo posto di lavoro, produce di più e meglio di quanto farebbe da casa.
La soluzione è alle porte. Questo retaggio può essere ben superato attuando un lavoro da casa di tipo autonomo, ovvero in cui non si è alle dipendenze di un datore di lavoro, ma si svolge la propria attività in piena autonomia. Questo è possibile, oggi, grazie ad una grande catena che dando ampio spazio alla libera iniziativa privata, permette a tutti di iniziare il proprio telelavoro senza dover neanche investire del denaro. Il gap tecnologico per questo tipo di attività è trascurabile, in quanto ormai circa l'80% delle famiglie italiane possiede almeno un pc in casa e di queste circa il 90% possiede una connessione di tipo veloce. La barriera dell'accesso in rete sipuò ritenere quindi valicata ed è ormai alla portata di tutti avere accesso alla rete internet. Vi sono anche molti access point, ovvero posti pubblici o privati dove, con pochi euro o nella maggior parte dei casi anche gratis, si può avere accesso ad un computer collegato in rete. Questo tipo di telelavoro ha aumentato considerevolmente l'offerta di lavoro ed è strettamente collegata con lo shopping online, un altro settore che sta crescendo considerevolmente.
Eppure si risparmia. Infatti non mancano le esperienze positive. «Stiamo cambiando sede — racconta Landini — e l'incremento dei nuovi spazi è meno che proporzionale alla crescita del personale perché, grazie al fatto che parte dei dipendenti che operano in modo stanziale lavora in remote working, abbiamo potuto razionalizzare gli uffici in funzione del modo di lavorare. Per noi è un risparmio sui costi per la sede. Per il lavoratore questo significa un guadagno in termini di tempo e di benzina perché non deve viaggiare per arrivare in ufficio. British Telecom, per fare un esempio, dopo dieci anni di telelavoro ha risparmiato 300 milioni di euro di spesa per gli immobili e 1.800 anni di tempi di trasferta per il personale». Questa è una vera opportunità perché i vantaggi sono mlteplici anche dal punto di vista ambientale e dell'inquinamento olte che dell'abbatimento dei costi di trasporto, per non parlare poi del fatto che, stando comodamente in casa, la gente può lavorare anche se ammalata (temporaneamente o portatrice di handicap). Questa nuova frontiera del lavoro la possiamo definire telelavoro semplice, proprio perché alla portata di tutti, sia dal punto di vista delle possibilità economiche e sia per quanto riguarda l'assenza di richiesta di specifiche competenze: un telelavoro per tutti!
E a guardare al rendimento del lavoratore il guadagno è sicuramente ancora a vantaggio dell'azienda e ove sia un lavoro autonomo a vantaggio dello stesso lavoratore che incrementa i propri profitti e riduce le spese. «Le ricerche — conferma Solari — indicano che il telelavoratore rischia di lavorare troppo». Se ne sono accorte le Poste Italiane, che hanno avviato una sperimentazione nel contact center e contano in due anni di avere 500 dipendenti in telelavoro. «L' aumento della produttività media dei nostri telelavoratori tocca il 30% — dice Ruggero Parrotto, responsabile della formazione, comunicazione interna dell'azienda —. Abbiamo avuto una riduzione dei giorni di malattia e dell'assenteismo del 25%». L'esperimento di telelavoro è andato bene, tanto che a settembre è stato lanciato un altro progetto nel settore dell' informatica. «Venti referenti informatici che controllano i grossi calcolatori lavorano da remoto — prosegue Parrotto —. Il successo del primo progetto ha vinto la resistenza dei capi, che sono abituati ad avere i lavoratori vicini».

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